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Luigi Erba


MIA FAIR, maggio 2011

Andrea Valsecchi in questa esposizione esprime un duplice mondo solo apparente. Quello filtrato dalle lenti kantiane (Di incontri e di fantasia-2009), in cui ogni cosa viene selezionata dal frammento impressionistico, quello della estraniazione contemporanea (Metamondo-2010- 2011), interpolato dal linguaggio e dall’icona digitale. Il primo, nella sua visione materica totale, ingloba lo sguardo, il segno, il sentimento, il secondo, nella sua complessità analitica, propone un insieme di codici il cui alfabeto è da trovare ed esplorare volta per volta.
Anche la materia, la realizzazione del prodotto ovviamente si differenzia: il plexiglas propone un oggetto visivo quasi speculare in cui l’effetto pittorico è comune in queste dissoluzioni oniriche, che sono ottenute in sede di ripresa senza ulteriore manipolazione digitale. Il montaggio su alluminio di Metamondo confeziona invece un oggetto apparentemente asettico, già alterato da una sovraesposizione in sede di ripresa e nei toni alti. Qui siamo nella consapevolezza e nel gioco  dell’artificiale, in architetture urbane in cui ad una scrittura se ne sovrappone un’altra che propone un nuovo parametro virtuale: il paesaggio è anch’esso un animale digitalizzato dai codici del nostro quotidiano…esc…username…spam…no virus.  La teoria e il dibattito “luogo non luogo” sono ormai archeologia. La verità è che in fondo tutto è riconducibile ad una tastiera in cui i personaggi sono quasi icone che hanno la memoria meccanica di un movimento, di un passaggio quasi arcano, comunque inafferrabile.
Ma i due mondi che si snocciolano nella distanza di tre anni non sono antitetici. Hanno in sé una continuità. L’atmosfera del primo lavoro è solo apparentemente mitica, soprattutto in quei due personaggi con vestito bianco e ombrello che associamo immediatamente a Renoir. Proprio in queste immagini infatti lo sguardo non permane, ma si dissolve in una forza entropica, di dissoluzione quasi segnica. E’ il loro futuro, un metamondo che proviene però dal sogno, poi ci sarà la disillusione.

Luigi Erba