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Antonio Maiorino


METAMONDO
Galleria PrimoPiano (Napoli, ottobre 2011)

Contemporaneità è il sostantivo che più calza l’affascinante progetto fotografico di Andrea Valsecchi dal titolo Metamondo composto di quindici opere. Nelle immagini, la cui sovraesposizione in fase di ripresa e l’uso dei toni alti ne segnano un’estetica glacialità, ritroviamo da subito tutto quanto ormai connota le nostre vite, la nostra quotidianità che si è carsicamente trasformata in virtuale e liquida.
Vi è, in queste opere, un silenzio lancinante, una distanza relazionale profonda, una chirurgica assenza di dolore, una nettezza surreale. Il processo di osmosi tra vita reale e second life si materializza sotto i nostri occhi e ci interroga come solo l’arte riesce, ovvero con immediatezza e brutalità. Troviamo nelle opere di Valsecchi una similitudine che, partendo dal mondo orwelliano, attraversa varie altre tappe fino a giungere allo straordinario videocollage di Jakub Nepraš dal titolo Generator-P730 dove i circuiti dei computer e dei televisori diventano paesaggi di una città nel corso di un’ordinaria giornata di una qualunque metropoli in una organica irreale sovrapposizione.
Ma mentre in quell’opera sono la circolazione e il potere dell’energia ad essere il soggetto che ipnotizza la gente in un obbligo all’obbedienza nelle opere di Valsecchi v’è la sottrazione della volontà, la sottomissione ovvero al potere che le nuove sovrastrutture informatiche e telematiche ormai detengono.
L’uso della fotografia assurge qui a supremo strumento critico, la possibilità di svuotare del movimento l’attimo, di congelarlo sotto i nostri occhi rende finalmente utile l’ipnosi non già come strumento di sospensione del pensiero ma piuttosto come lucida fissità sull’interrogativo e sul desiderio di risposta.
A vedere questi paesaggi urbani non riusciamo più a delineare il confine tra quanto è realmente architettura e quanto è invece probabilmente render, non comprendiamo più se l’uomo del nuovo millennio costruisce abdicando al suo efficace software o se ha concreta volontà di disegnare il mondo di tale fattura e, se così fosse, sembra ritenere confortevole disegnarlo da farlo apparire come un enorme monitor, senza soluzione di continuità.
La segnaletica, le icone che perpetuamente ci inseguono nel corso della nostra quotidianità, le finestre a nastro che simulano un download, sono assolutamente dentro quel disegno, non stridono. Immaginiamo una facciata barocca con l’inserzione di una sola icona del nostro desktop, ci salterebbe agli occhi, la troveremmo insolita e fuori luogo. Qui invece è tutto iper-organico, tutto perfettamente omologato. Nessuno potrà mai dire, in questo mondo, che due più due potrebbe fare tre.

Antonio Maiorino