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Angela Madesani


TEMPI SURMODERNI
MIA Fair 2014 - Progetti a 4 mani

Nella storia dell’arte e della fotografia numerose sono le coppie di artisti che lavorano e che hanno lavorato insieme nel corso degli anni. Da Gilbert & George ad Anne e Patrick Poirier, a Bernd e Hilla Becher. Qui il lavoro a quattro mani è da intendersi in altro senso, in altra chiave. Viene sottolineata una stretta collaborazione, che dura ormai dal 2009, tra un artista fotografo e uno stampatore: Andrea Valsecchi e Roberto Berné.
Tra loro è nato e si è sviluppato un rapporto fondamentale, in cui lo stampatore non ricopre certo un ruolo ancillare rispetto a quello dell’artista. Si è venuto, piuttosto, a creare un intenso rapporto dialettico di matrice empirica, in cui lo stampatore studia attentamente il lavoro dell’autore. I lavori di Valsecchi, che questo testo accompagna, non sono semplicemente stampati con mestiere e qualità da Berné. Valsecchi lavora a un progetto che trova un esito finale, ogni volta diverso nella presentazione, proprio attraverso lo scambio e il confronto con lo stampatore, che si occupa anche del montaggio e delle cornici, utilizzando materiali pensati per la conservazione della fotografia. La scelta delle carte, delle colle, dei metalli utilizzati è per lui frutto di una ricerca continua e approfondita, che si è evoluta con il passare del tempo.

Sono tre le serie di lavori di Valsecchi di cui qui ci occupiamo: Metamondo, Stay stupid e Towers. Vi è un filo rosso di matrice tematica che lega i vari lavori, raccolti sotto il titolo di Tempi surmoderni. Il rimando, voluto, mutatis mutandis, è al film del 1936 di Charlie Chaplin in cui il povero Charlot è un operaio schiavo della macchina. Il protagonista impazzisce minato da un fordismo esasperato, che addirittura lo pone al centro di un esperimento di utilizzo della macchina automatica di alimentazione, che dovrebbe consentire di mangiare senza interrompere il lavoro. Charlot, addetto a stringere i bulloni, è ossessionato dalla sua occupazione. Tanto da vedere come bulloni i bottoni della gonna della segretaria. La storia continua in una clinica psichiatrica e poi in galera, ma non mancherà il lieto fine: a trionfare è l’amore. «L’omino di Chaplin era incastrato negli ingranaggi della macchina, quello odierno nelle griglie di Excel» : la frase è di Valsecchi, che attraverso il suo lavoro compie un analisi del tempo in cui ci è dato vivere. In Metamondo (2010-2011), Valsecchi indaga sul labile confine tra reale e virtuale. È un lavoro di fotografia di paesaggio sul concetto di surmodernità, il neologismo coniato dall’antropologo francese Marc Augé. Sono paesaggi freddi, tristi, con grattacieli, centri commerciali. Pochissimi sono gli spazi verdi, neppure l’accenno di quel terzo paesaggio di cui parla il giardiniere architetto Gilles Clément. Tutto è frutto del pensiero, dell’attività umana. Le regole sono ferree, le persone sono sole, destinate a comunicare con gli altri attraverso un cellulare o un contatto facebook. Siamo di fronte ai non luoghi della surmodernità appunto. E con questo neologismo, il riferimento è allo sviluppo delle società complesse, che ha avuto luogo dalla fine del XX secolo ai giorni nostri, con il superamento della fase postindustriale.
Il nostro è perlopiù un tempo di triste e mortificante globalizzazione, che ha modificato e appiattito le nostre vite da Pechino a New York, da Seul a Milano: calziamo lo stesso paio di Nike, usiamo lo stesso I Phone e mangiamo negli stessi Mac Donald’s. È un tempo di eccessi, temporali, spaziali, individuali. «Abbiamo appena il tempo di invecchiare un po’ e già il nostro tempo diventa storia, già la nostra storia individuale appartiene alla storia» . La nostra è una vera e propria difficoltà a pensare il tempo, a causa dell’incalzare dei cosiddetti eventi. A volte ci pare di scoppiare, manca il tempo dell’ozio, della pausa, della noia. Se per un attimo non sappiamo cosa fare, entriamo in crisi di astinenza. La seconda figura dell’eccesso tipica della surmodernità, riguarda lo spazio.

Grazie a sempre più “democratici” voli aerei, alla presenza di satelliti e navicelle si è verificato un restringimento dello spazio, una relativizzazione dello stesso. In poche ore siamo dall’altra parte del mondo e dai satelliti abbiamo una visione esterna dei nostri micro e macrocosmo. Una dimensione in cui i non luoghi fotografati da Valsecchi si moltiplicano.
«I non luoghi sono tanto le installazioni necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei beni (strade a scorrimento veloce, svincoli, aereoporti), quanto i mezzi di trasporto stessi o i grandi centri commerciali o, ancora, i campi profughi dove sono parcheggiati i rifugiati del pianeta» .
E dunque l’individualizzazione dei riferimenti. L’individuo nelle nostre società, cosiddette evolute, si considera un soggetto a sé. Si sente e costituisce il centro del suo mondo. E la surmodernità, produttrice di non luoghi antropologici, così nei lavori di Valsecchi, non integra in sé i luoghi antichi. Il successo del concetto di “non luogo” si deve proprio, come affermato dallo storico dell’architettura Joseph Rykwert , alla perdita completa di riferimenti alla storia.
Stay stupid (2013-in corso) è una riflessione sulla tecnologia, vista come bene di consumo. Il riferimento evidente è a una frase pronunciata da Steve Jobs, a conclusione di un discorso pronunciato per gli studenti di Stanford, nel 2005: «Stay hungry stay foolish». Una frase che lo stesso Jobs aveva letto su una rivista alternativa degli anni Settanta di controcultura americana, che aveva segnato profondamente il suo modo di agire. Valsecchi, con la stessa metodologia, invita il mondo a essere stupido. La stupidità, infatti, invoglia il consumismo più becero e sfrenato, quello che ha segnato il mondo capitalista e non solo, a partire dagli anni Ottanta. Si pensi, in tal senso, alle teorie di Naomi Klein in No logo. La foto presenta un QRcode, in cui è contenuto un antivirus per l’ambiente. Non siamo in grado di tenere pulita l’aria, ma siamo in grado di creare un complesso software. È una sorta di paradosso. Anche qui sono immagini di paesaggio in cui sono inseriti uomini in tuta bianca, personaggi da laboratorio tecnologico. Sui muri fanno la loro comparsa i codici, evidentemente inseriti in postproduzione, che è come se facessero parte della scena.
Il lavoro Towers (2013-in corso) nasce da una richiesta giunta all’artista di realizzare una carta per un mazzo di tarocchi. Valsecchi sceglie la torre, la carta che rappresenta il fallimento. Nel nostro mondo, che ha il mito dell’energia e dell’apparire a tutti i costi, il fallimento è particolarmente arduo da sopportare. Ma forse sono gli obiettivi ad essere irraggiungibili. Come in un’immagine dove un uomo tenta di scalare una torre , un altro trascina al guinzaglio un monitor con la scritta “Connection failed”, connessione fallita.
In un’altra è una donna intenta a specchiarsi, ma lo specchio non riflette la sua immagine per mancanza di connessione con la torre di controllo, un giovane seduto alla base della torre è per questo colto da un senso di impotente disperazione. In un’altra foto un uomo si specchia in una pozza d’acqua, novello Narciso. Bello come il personaggio mitologico, probabilmente disdegna chiunque lo ami, innamorato solo di se stesso. Anche qui il riferimento è alla bellezza ad ogni costo del mondo in cui viviamo, che non accetta l’invecchiamento, il passare del tempo, in controversa antitesi alla concezione del tempo della surmodernità.

Attraverso la stampa e il montaggio ogni serie di opere trasmette un messaggio differente.
Per Metamondo è stata usata una carta perlata montata su dibond incorniciata con metallo e plexiglass, in linea con la modernità e la freddezza rappresentata.
La scelta della confezione di Stay stupid, stampata su carta cotone e incorniciata con il legno, parrebbe essere in contrasto con la tematica affrontata. La scelta è stata oggetto di dibattito e di approfondite discussioni. È una sorta di risposta a quanto ci viene presentato. Si pensi al messaggio ambientale, che viene dato dal codice. Ma anche all’idea di stupidità come strumento di felicità attraverso un linguaggio volutamente soft, ovattato. Towers stampate in piccole dimensioni vengono poste tra due strati di plexiglass, di 2 cm davanti, di 1 cm dietro. Il lavoro fotografico acquista la tridimensionalità dell’oggetto, allontanandosi dalla bidimensionalità della fotografia incorniciata. Ci troviamo di fronte ad alcune tappe di un lavoro a quattro mani che ci offre alcune puntuali risposte, ma apre anche una serie di nuovi quesiti sul senso della collaborazione tra pensieri e professionalità diverse.

Angela Madesani